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Un affare di famiglia
Hirokazu Kore-eda


Ci sono affari e affari …, famiglie e famiglie. “Un affare di famiglia” piccolo capolavoro di Hirokazu Kore-eda, meritata palma d’Oro a Cannes, rimuove la polvere che avvolge lo stereotipo di queste due consumate istituzioni dell’era moderna.

La vicenda si svolge alla periferia dell’umanità, in una grande città che incidentalmente è Tokio ma ben rispecchia il panorama metropolitano globalizzato. La famiglia Shibata è composta da sei elementi: la nonna Hatsue Shibata (Kirin Kiki), il padre Osamu (Lily Franky), la madre Nobuyo (Sakura Andō), la figlia grande Aki (Mayu Matsuoka), il figlio Shota (Jyo Kairi) e la più piccola Yuri (Miyu Sasaki). Quest’ultima non è proprio una Shibata perché siamo da subito resi edotti che si tratta della ‘vittima’ di un rapimento pietistico. Salvata dal freddo del suo balcone, portata via a una famiglia che non l’ha mai desiderata e che evidentemente non ha spazio per lei, viene accolta in casa Shibata, nutrita e scaldata ma soprattutto avvolta dall’affetto di questo bizzarro gruppo familiare.

Come la piccola Yuri, gli Shibata vivono di espedienti, in una società che non li vuole. Osamu. operaio di cantiere, viene lasciato a casa per un infortunio, Aki resta a casa per una riduzione del personale e si dà ad una forma di prostituzione ‘leggera’. I ragazzini sono instradati all’arte dei piccoli furti nei negozi, senza avidità, quanto basta per tirare avanti. Un contesto marginale e pratiche considerate esecrabili dalla morale corrente rivelano un’umanità ricca di amore e di affetto. Immensamente più ricca della norma più ‘conforme’ che gli sta attorno. Vi è un’etica che non attiene alla proprietà delle cose, vi sono pratiche di reciproco sostegno che mal si inscrivono in un reticolato di norme.

Così il regista ci mostra che ci sono “affari” che non sono esattamente “affari” (il titolo originale giapponese usa la parola taccheggio, più azzeccata) e famiglie che non sono famiglie ma che, a ben vedere, non hanno niente da invidiare alla versione conformista della morale corrente.

Un film delicato e toccante, una recitazione magistrale, un insegnamento per tutti.